Un internet senza cookie come rivoluzionerà il mondo di internet e dell’advertising online? È questa la riflessione più importante che sta muovendo il mondo del digital marketing, in quanto i famosi “biscottini” stanno per essere abbandonati, ponendo nuove riflessioni sul lavoro dei diversi attori della pubblicità online e sulla privacy degli utenti.
Ma cosa sono di preciso cookie? I cookie sono dei file che permettono di memorizzare informazioni sugli utenti e di recuperarle quando necessarie. Si va da quelli che permettono di ricordare ID e password di un login a quelli che permettono di creare e modificare i carrelli online dei nostri acquisti negli eCommerce. Altri ancora hanno permesso agli advertiser di osservare i comportamenti, le azioni e le preferenze degli utenti che navigano nel web, fornendo informazioni preziose per la realizzazione delle campagne pubblicitarie online. Inoltre, sempre grazie ai cookie si può monitorare la frequenza – ovvero misurare la quantità di volte che un utente viene esposto a un post pubblicitario, o lavorare in retargeting – quindi intercettando nuovamente quelle persone che non hanno concluso una determinata azione svolta in precedenza, ad esempio chi ha abbandonato un carrello prima di acquistare, o hanno manifestato interesse verso un sito web.
Proprio grazie ai cookie, l’advertising e il programmatic Advertising hanno basato il loro modus operandi, con l’obiettivo di dare agli utenti giusti gli adv giusti, nello spazio online giusto e al momento giusto. Dopo 25 anni, i cookie esauriscono i loro lavoro di profilazione, costringendo a ripensare all’uso di tutte quelle informazioni che hanno permesso di tracciare e delineare diversi pubblici e diversi target, lanciare campagne e monitorarne gli andamenti. Sarà quindi ancora possibile questa intenzione?
Molto di questo discorso si è generato dalle riflessioni sempre più frequenti relative alla privacy degli utenti e alle modalità di uso e conservazione di questi dati, portando a considerare come obsoleto l’uso dei cookie. Ciò si è riflesso nell’aggiornamento delle normative e di nuove regolamentazioni: un esempio è il GDPR europeo adottato nel 2016 e operativo dal 2018, ma anche in molte altre regolamentazioni apparse tra America e Europa, che per quanto frammentate e con differenze tra loro, sono importanti per la sicurezza e la protezione degli utenti.
Proprio per rispettare le nuove normative in tema di privacy e sempre ponendo attenzione agli utenti, i browser hanno creato sistemi di protezione dai cookie di tracciamento: se Safari (Apple) è stata tra i primi a permettere il blocco dei cookie, si sono poi accodati Firefox (Mozilla), ai quali poi si sono aggiunti Edge (Microsoft) e Chrome (Google). Considerando che Safari e Firefox assieme detengono il 30% delle impressions misurabili dagli advertiser e Chrome ben il 65%, si capisce come l’eliminazione dei cookie ha un impatto davvero importante.
A tutto questo si somma anche il lavoro degli ad blocker: sono tutti quei sistemi che permettono di bloccare la visione delle pubblicità online su siti e pagine. Possono essere “diretti”, in quanto appunto disponibili direttamente nei browser sotto forma di estensioni da installare, oppure possono essere “indiretti” perché rientrano come servizi aggiuntivi che i diversi antivirus in commercio mettono a disposizione.
L’eliminazione dei cookie di terze parti traccia una strada che mettendo ancora più al centro del discorso gli utenti e i loro diritti, riporta l’attenzione ai dati di prime parti. Il rischio però è quello di finire con pochi grandi player mondiali che hanno facilmente a disposizione moli di informazioni personali degli utenti, chiudendo il mercato. Per gli advertiser, coloro che creano le campagne, e i publisher, ovvero chi mette a disposizione spazi pubblicitari, la situazione si complica: per i primi si rischia di perdere informazioni sui pubblici su grande scala se si opera solo su player chiusi che diventerebbero in un qualche modo “esclusivi”, per i secondi si rischia di non riuscire più a competere con questi grandi fornitori, facendo inoltre perdere al mercato competitività e scambio.
Sono quindi da pensarsi tutta una serie di soluzioni per affrontare questo enorme cambiamento, combinando da una parte le giuste modalità per raggiungere gli utenti e offrire loro l’adv giusto al momento giusto, ma salvaguardando la loro privacy e i loro dati.
Una delle possibili direzioni da prendere può essere quella di lavorare tramite i dati raccolti attraverso i CRM, ovvero quei dati raccolti attraverso attività di customer relationship management. L’importanza di lavorare con utenti conosciuti e in relazione con aziende, brand e agenzie è una modalità che permette di realizzare opportunità ad hoc e creare adv molto più personalizzati rispetto all’uso di dati di terze parti, che possono fornire pubblici più generici e meno interessati agli adv proposti. Le email nello specifico stanno avendo una seconda vita in quanto grazie alla loro persistenza – un utente usa la stessa email per anni, e grazie alla loro indipendenza da qualsiasi piattaforma rispetto a un cookie, riescono a essere precise ed efficaci nell’identificazione dei pubblici. Inoltre, grazie alle nuove normative, sono state recentemente riviste nei consensi e sono quindi abili alla ricezione di comunicazioni e pubblicità. Tutto questo però non è solo oro che luccica: i possessori di dati di prime parti devono impegnarsi a pulire in maniera costante il proprio database e questo ha dei costi da sostenere.
Un’altra direzione è quella di implementare l’uso del MAID, ovvero del Mobile Advertising ID. È un identificativo fornito dai dispositivi mobili stessi e che riesce a fornire un affidabile, sicuro e stabile identificativo pseudonimo dell’utente e della sua attività mobile, ma allo stesso tempo proteggendo la privacy dei consumatori. È davvero interessante in quanto è molto più preciso di altri dati e soprattutto fornisce anche la posizione dell’utente: può essere ulteriore dato utile per campagne davvero personalizzate o per lavorare ad esempio su campagne drive-to-store.
Infine, si può lavorare tramite le Contextual intelligence. Non è una vera novità e addirittura ha un corrispettivo passato anche alla carta stampata, quando si inserivano determinati annunci pubblicitari vicino ad articoli che potessero essere in linea con gli stessi, in modo da catturare gli utenti. Lavorando sulle parole e sul contesto nel quale sono inserite, è possibile operare sulla semantica, comprendendo in che punto del ciclo di acquisto sono gli utenti, non servendosi dei dati personali ma delle parole chiave, quindi strutturando gli adv in maniera più puntuale e mirata.
Questo internet cookieless, un internet senza tracciamenti, non va visto come una catastrofe, ma come un’opportunità per lavorare in maniera ancora più trasparente e consapevole per tutti. Advertiser, publisher e piattaforme devono trovare delle nuove modalità per raccogliere informazioni sugli utenti e capire come utilizzarle correttamente, mentre gli utenti stessi devono prendere ancora più consapevolezza della loro permanenza online e di come i propri dati possano essere utilizzati, senza gridare al complotto.
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