La rivoluzione della social war
Da non confondere con la Primavera Araba, che ha usato i social per organizzare manifestazioni e incontri, limitando il tutto a Facebook. Il ruolo dei social, questa volta, è molto lontano da tutto ciò che fino ad oggi si è conosciuto e soprattutto è alimentato da una moltitudine in più di canali.
A capo di questa rivoluzione social c'è la volontà di far diventare le piattaforme un tool politico/sociale: negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni si mobilitazione social come il #BlackLivesMatter e il #FridaysforFuture. Tutti temi che hanno avuto risonanza mediatica a livello globale. Negli ultimi due anni si è aggiunto anche il social TikTok all’ascesa di tool politico (come è successo soprattutto per Instagram ma anche per Twitter e Facebook). Ed è proprio il social cinese che, dallo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia il 24 febbraio 2022, è stata una fondamentale fonte di informazione, fornendo migliaia di video che informavano su cosa stava accadendo sul campo di battaglia in tempo reale. Per questo, oltre ai termini coniati per sottolineare la complessità del conflitto, neologismi come cyberwar, in riferimento agli attacchi informatici, e infowar, in riferimento ai colpi di propaganda dei due fronti, possiamo parlare a tutti gli effetti di social war.
Come è stato per il tragico periodo della pandemia, infatti, di questa guerra abbiamo una cronaca costante, forse meno percettibile rispetto alle radiocronache o telecronache affidate ai media tradizionali, ma sicuramente mai vista per gli altri conflitti, ancora oggi presenti in altre zone del mondo. La battaglia ai giorni nostri si vince anche affidando agli algoritmi della rilevanza dei post sui social il registro costante delle notizie, dei video, delle immagini e anche delle nostre opinioni ed emozioni, su scala globale.
Tik Tok: piattaforma più usata nella social war
La social war crea un inedito fattore di “engagement” del conflitto su scala globale, una cronaca di guerra onnipresente nei feed. Migliaia di ragazzi ucraini condividono su TikTok numerosi video delle bombe che cadono su Kyiv, dei carri armati che entrano nella città. Il social sta letteralmente prendendo il posto dei giornalisti e dei reporter per documentare e mostrare al mondo ciò che sta avvenendo in Ucraina. Informarsi riguardo alla guerra su questa piattaforma è molto più veloce, anche se non mancano le fake news. Il social viaggia a una velocità sorprendente, perciò gli utenti devono stare ben attenti a distinguere ciò che è reale da ciò che è prettamente virtuale e dunque costruito.
È difficile, nel caos bellico, distinguere realtà, finzione e propaganda. La stessa conformazione tecnica di TikTok induce una sorta di fallacia dell’informazione: un flusso potenzialmente infinito di contenuti brevi, accattivanti ma non particolarmente curati, in cui non appaiono solo i video dei profili che si è deciso di seguire, ma tutto ciò che l’algoritmo della piattaforma individua come interessanti per l’utente. Qualcuno scherza sul fatto che l’algoritmo è così preciso che sembra leggere nella mente: in realtà registra più semplicemente quanto a lungo l’utente guarda i singoli video, quali apprezza e quali condivide con i propri contatti, con lo scopo di proporre contenuti che catturino al massimo l’attenzione, per trattenere sulla piattaforma il più a lungo possibile. Con lo scoppio della guerra, l’attenzione dell’opinione pubblica è sull’Ucraina, al punto che l’algoritmo sta finendo per ripescare video pubblicati mesi fa o che ritraggono altre guerre per soddisfare i desideri di contenuti degli utenti.
Soltanto tra il 20 e il 28 febbraio, le visualizzazioni dei video taggati con #Ukraine sono passate da 6,4 miliardi a 17,1 miliardi, significa 928.000 visualizzazioni al minuto. Al 3 marzo, erano già diventate 22,5 miliardi. Considerato che, secondo dati risalenti all’estate 2020, oltre 28 milioni di russi sono iscritti all’applicazione, c’è chi spera che l’applicazione possa essere utile a far conoscere la situazione ucraina anche in Russia, dove il governo impedisce ai media di usare le parole “attacco”, “invasione” o “guerra” per descrivere ciò che sta succedendo.
Social war ed informazione
Nonostante l’impostazione di TikTok sia quella di uno spazio apolitico e spensierato, e nonostante l’ordine casuale e non cronologico con il quale i contenuti sono presentati non favorisca affatto i temi di attualità, sulla piattaforma hanno avuto periodi di grande popolarità i video degli incendi in Australia, delle violenze israeliane in Palestina, dell’attacco al Campidoglio statunitense. TikTok è colmo di video di attivismo, analisi e commenti sui fatti di attualità, oltre che di disinformazione e propaganda. Anche la riconquista talebana dell’Afghanistan dell'Agosto 2021 creò seri problemi di moderazione dei contenuti alle aziende tech.
Il successo di TikTok dipende sia da quanto è visivo sia da quanto è istantaneo: è in grado di catturare il mondo con un’immediatezza che altre piattaforme non possono eguagliare. Se Facebook è pesante, Instagram è curato e YouTube richiede un carico di attrezzature e tempo di editing, TikTok è veloce, fluido ed efficace. Il tipo di piattaforma video che può modellare la percezione di come si sta svolgendo un conflitto.
La documentazione sui social media ha una durata limitata e breve, per la natura del medium è volontariamente effimera ma nel consumatore può creare un’esperienza più immediata e coinvolgente di una situazione che si sta svolgendo in diretta. Date queste considerazioni, è ormai certo, che stiamo assistendo alla “First Social War”. Una guerra combattuta, non solo con eserciti tradizionali e tecnologia bellica, ma tramite applicazioni, social network, mass media.
Se stai cercando di rimanere aggiornato con le ultime notizie sui social media e le migliori pratiche per affari, rivolgiti a E-Business Consulting, agenzia di marketing digitale attiva dal 2003, e richiedi un preventivo gratuito!