“Le persone non acquistano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia"
È partendo da questa citazione estrapolata da “La Mucca Viola” di Seth Godin che parleremo di Influencer Marketing, del perché funziona, delle criticità sviluppate nel tempo e delle possibilità per i brand che si approcciano a sfruttare questa leva di marketing.
L’incarico di intercettare online personaggi di rilievo per promuovere prodotti e servizi ad un’audience specifica, identificato come Influencer Marketing, si basa proprio sulla capacità di questi individui di influenzare un determinato target.
Le differenze principali da coloro che televisivamente abbiamo sempre identificato come testimonial e le caratteristiche che ne rappresentano l’arma vincente delle Digital PR, sono:
- L’idea espressa dalla persona e non del Personaggio
- La veicolazione di contenuti coerenti e in linea con attitudini e stile di vita
- La creatività, uso di formati e linguaggi propri
- La spontaneità e trasparenza nella comunicazione
Il ruolo dell’influencer (quello fatto bene) è di integrare nel proprio storytelling quotidiano consigli su prodotti o servizi che siano complementari alla condivisione delle abitudini e dei momenti della propria vita per influenzare i comportamenti d’acquisto dei propri follower. La sinergia tra le due parti deve essere tale da apparire come volontaria e non artificiosa, fino quasi a mimetizzarsi.
Ma cosa succede quando tutto ciò viene ad estinguersi a favore di markette e sponsorizzate di dubbio gusto e di dubbia autenticità? La comunicazione perde la sua efficacia. Sempre più gli utenti della rete hanno la capacità di avvertire la presenza di contenuti brandizzati (anche grazie all’obbligo di inserimento di hashtag come #adv o #suppliedby) e automaticamente il contesto risulta artefatto e forzato.
La perdita di genuinità dell’influencer spesso dipende dalla poca esperienza e professionalità dello stesso, che si trova a svendere la propria immagine e la propria integrità per ottenere un ritorno economico. È questo il caso di ragazze dichiaratamente astemie che si cimentano nello sponsorizzare bevande alcoliche, ragazzi che spingono all’assunzione di bibitoni dimagranti e detox fingendo (male) di berli durante le story, personaggi multipotenziali che spaziano dal food al fashion all’automotive al beauty al travel come fossero tuttologi e intenditori o soggetti che partecipano ad eventi in store selezionando i loro abiti preferiti che dopo qualche giorno rivendono tramite canali e-commerce di seconda mano (come Depop o Subito.it).
Questo tipo di collaborazioni possono avere, per i brand che le intraprendono, effetti boomerang molto pericolosi. Ma allora, come selezionare l’influencer giusto per la propria attività?
La soluzione sempre più in voga negli ultimi periodi per aziende che operano in nicchie di mercato, sono i micro-influencer: utenti con una media di 10K follower e argomentazioni molto specifiche e settoriali. Le statistiche infatti ci dicono che gli influencer con un numero maggiore di follower hanno in media un minor tasso di engagement.
Questa metrica si identifica quindi come la chiave di volta nella scelta del giusto influencer in quanto preclude un grado più profondo nella relazione con il pubblico che interagisce, commenta e ri-condivide i contenuti in virtù del rapporto paritario e non gerarchico che vive.
Il micro-influencer per coltivare questo rapporto di reciproca fiducia, interagisce con la propria community e punta su contenuti di qualità piuttosto che sulla quantità. Il suo know-how è molto verticale e questo gli permette di essere riconoscibile e di posizionarsi anche geograficamente parlando in una nicchia.
Se non sei convinto di imbatterti in questa attività senza supporti o vuoi testarla ma con i giusti strumenti, contattaci per una consulenza gratuita.